Dieci anni dopo il Rana Plaza e il cotone Fairtrade

Occorre sempre parlare di cotone e filiera tessile perchè il 24 aprile è stato il decennale del crollo
del Rana Plaza, l’edificio commerciale nei pressi di Dacca, in Bangladesh, che ospitava diverse
aziende di produzione di abbigliamento fast fashion e collassò per un cedimento strutturale
uccidendo più di 1.100 persone.
Quella tragedia accese i riflettori sulle condizioni di lavoro in una filiera schiacciata da grandi
quantità da produrre in tempi ristretti e a prezzi bassissimi ed ebbe un fortissimo impatto sulle
persone, che si mobilitarono con campagne per chiedere ai brand più trasparenza e
sostenibilità nelle loro filiere.
In questi anni sono stati fatti molti passi avanti e  l’acquisto di materie prime sostenibili, tra le quali
il cotone Fairtrade, è diventato un tassello importante di questo processo. Uno studio del 2017 
(https://www.fairtrade.org.uk/media-centre/news/fairtrade-cotton-has-five-times-lower-social-and-
environmental-footprint/) ha calcolato che il cotone Fairtrade è 5 volte meno impattante a livello
ambientale e sociale rispetto alla produzione convenzionale: la produzione Fairtrade ha costi
sociali e costi ambientali inferiori rispettivamente del 97% e del 31%.
Il documentarista André D’Elia e la giornalista climatica Louisa Schneider sono andati in India per
scoprire come incide, in pratica, la certificazione Fairtrade sull’industria tessile locale.

Se hai 8 minuti di tempo, questo è un video che ti consigliamo di cliccare su questo link:

https://www.youtube.com/watch?v=vehTWJjGhuw